Lie To Me

Memoryless
100x150 cm Mixed Media on Canvas (2016)
Remember
100x150 cm Mixed Media on Canvas (2016)
Not Lies Just Love
120x180 cm Mixed Media on Canvas (2016)
It's Time To Forget
100x180 cm Mixed Media on Canvas (2016)
In A Different Way
100x200 cm (2x100x100cm) Mixed Media on Canvas (2016)
Trust The Lies
150x100 cm Mixed Media on Canvas (2016)
Lie To Me
150x100 cm Mixed Media on Canvas (2016)

La serie Lie to Me si apre come un atlante della menzogna, un viaggio attraverso le maschere che rivestono il nostro presente. Le immagini non cercano di svelare la verità, ma di indagare il fascino del falso, la sua capacità di diventare più desiderabile del vero. Si intuisce subito che l’inganno non è soltanto trappola, ma linguaggio e rifugio, necessità umana.

Le tele si presentano come palinsesti visivi: sotto la superficie affiorano citazioni, simboli, frammenti di memoria e tracce di cultura pop. Sono “superimmagini” che si offrono allo sguardo come specchi infranti, capaci di riflettere allo stesso tempo il mito antico e la cronaca mediatica. La menzogna si moltiplica, si stratifica, si fa seduzione cromatica.

In Memoryless e Remember l’oblio e la memoria si inseguono, si contraddicono: ciò che viene dimenticato si riaffaccia in nuove forme, e ciò che resta impresso appare fragile, corrotto dal tempo e dalla manipolazione. L’eco di Kundera risuona: la lotta della memoria contro l’oblio diventa qui trama pittorica, tensione irrisolta.

Trust the Lies e It’s Time to Forget ci parlano della dolcezza del lasciarsi ingannare. C’è un conforto nell’illusione, una protezione che la verità nuda non sa offrire. Come intuiva Baudrillard, i simulacri non nascondono la realtà, ma ne creano una nuova, più persuasiva del reale stesso.

Lie to Me e In a Different Way amplificano questo gioco di specchi: la tela diventa uno schermo brulicante, dove cinema, fumetto e pubblicità si intrecciano fino a rendere indistinguibile l’autentico dal falso. È lo stesso cortocircuito che Orson Welles mise in scena in F for Fake, dove l’opera e la sua contraffazione si confondono in un racconto senza verità ultime.

Infine, Not Lies Just Love chiude la serie con un gesto di disarmo: dietro la menzogna può celarsi l’amore, il bisogno di proteggere, la volontà di non ferire. “Abbiamo bisogno di illusioni come dell’aria che respiriamo”, scriveva Paul Valéry. È forse questa la confessione più intima delle opere: la bugia non come negazione, ma come condizione necessaria all’esistenza.

Queste immagini ci consegnano una riflessione poetica e inquieta sul nostro tempo: preferiamo le favole alle verità, i miti alle evidenze, gli schermi luminosi alla nuda realtà. Non c’è giudizio, ma consapevolezza: il desiderio di essere ingannati rivela qualcosa di profondamente umano. È proprio qui, in questo spazio ambiguo tra verità e menzogna, che si apre la possibilità dell’arte, capace di custodire insieme la ferita e la consolazione, l’inganno e la rivelazione.