Panopticon
La serie Panopticon affronta i temi del controllo, della sorveglianza e della spettacolarizzazione della realtà attraverso un linguaggio visivo stratificato, fatto di pittura, digitale e citazioni pop.
Il titolo rimanda al progetto di Jeremy Bentham (1791): il Panopticon, un carcere ideale in cui un solo sorvegliante poteva osservare tutti i detenuti senza essere visto. Michel Foucault lo ha interpretato come il paradigma delle società disciplinari: un potere invisibile che agisce non attraverso la forza, ma attraverso lo sguardo, inducendo nei soggetti la sensazione di essere sempre osservati.
Balestrini porta questa visione nel presente e nel futuro. In Panopticon vediamo città futuristiche sotto cupole trasparenti, dirigibili che sorvegliano dall’alto, architetture babeliche che rimandano al sogno e all’incubo del controllo totale.
In Echelon, titolo che evoca il sistema globale di intercettazione elettronica, il carcere benthamiano si trasforma in rete digitale: non più mura e torri, ma flussi di dati, algoritmi e schermi che costruiscono nuove forme di sorveglianza planetaria.
The Glitch introduce la crepa, l’errore, l’imprevisto che incrina la macchina del controllo. Il difetto tecnico diventa linguaggio estetico e poetico: un varco attraverso cui immaginare resistenza e libertà.
In Show Time la sorveglianza si traveste da intrattenimento. Sullo schermo televisivo appare la testa digitalizzata di Max Headroom, icona mediatica degli anni ’80 e simbolo della realtà artificiale prodotta dal video. Accanto a lui si intravede il volto con baffi del Grande Fratello orwelliano, emblema dello sguardo che tutto controlla. La scena mette in corto circuito due archetipi del potere mediatico: da un lato la seduzione ironica e pop della televisione, dall’altro l’ombra distopica del controllo totale. Il corpo femminile che osserva lo schermo diventa specchio del nostro rapporto ambiguo con i media: spettatori attratti, ma anche sorvegliati e resi complici.
Con The Beginning of the Future l’artista apre lo sguardo a un orizzonte cosmogonico: città sospese tra utopia e distopia, cieli solcati da dirigibili e geometrie luminose che sembrano tracciare mappe astrali. È una visione che unisce memoria e immaginazione, un futuro che è già presente.
In queste opere, l’osservatore si muove in un vortice di “superimmagini”: stratificazioni di segni, citazioni colte e icone pop, graffiti e baloon, dettagli microscopici e figure monumentali. È un linguaggio che ci ricorda, con Walter Benjamin, la perdita dell’“aura” nell’era della riproducibilità tecnica, e che risuona con l’intuizione di Marshall McLuhan: il medium non solo comunica, ma plasma e narcotizza chi lo abita.
La serie Panopticon ci invita a riflettere sulla nostra condizione: viviamo in un mondo di sorveglianza invisibile e spettacolo permanente, in cui libertà e controllo si intrecciano.
Le opere di Balestrini ci chiedono: siamo davvero spettatori liberi, o prigionieri di uno sguardo che non vediamo?